Confessioni di un malandrino
Quelle: Spotify
Mi piace spettinato camminare
col capo sulle spalle come un lume,
così mi diverto a rischiarare
il vostro autunno senza piume.
Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell’ingiuria.
Mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.
Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne e il muschio hanno sommerso
ed i miei che non sanno di avere
un figlio che compone versi.
Ma mi vogliono bene come ai campi
alla pelle, ed alla pioggia di stagione.
Raro sarà che chi mi offende scampi
dalle punte del forcone.
Poveri genitori contadini
certo siete invecchiati e ancor temete
il signore del cielo e gli acquitrini,
genitori che mai non capirete
che oggi il vostro figliolo è diventato
il primo tra i poeti del paese,
ed ora in scarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.
Ma sopravvive in lui la frenesia
di un vecchio mariuolo di campagna,
e ad ogni insegna di macelleria
alla vacca s’inchina, sua compagna.
E quando incontra un vetturino
gli torna in mente il suo concio natale.
E vorrebbe la coda del ronzino
regger come strascico nuziale.
Voglio bene alla Patria,
benché afflitta di tronchi rugginosi;
m’è caro il grugno sporco dei suini
e i rospi all’ombra sospirosi.
Son malato d’infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d’aprile,
sembra quasi che l’acero si curvi
per riscaldarsi e poi dormire.
Dal nido di quell’albero le uova
per rubare salivo fino in cima,
ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima;
e tu mio caro amico vecchio cane
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia,
e giri a coda bassa nel cortile,
ignaro delle porte dei granai.
Mi son cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po’ di pane,
e si mangiava come due fratelli,
una briciola l’uomo ed una il cane.
Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.
Buona notte! La falce della luna,
sì cheta mentre l’aria si fa bruna
Dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.
La notte è così tersa,
qui forse anche morire non fa male.
Che importa se il mio spirito è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.
O Pegaso decrepito e bonario
il tuo galoppo è ora senza scopo.
Giunsi come un maestro solitario
e non canto e non celebro che i topi.
Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome…
Voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.
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